Titolo originale : „Übermorgen, wenn wir alt sind

(un domani, quando saremo anziani)

 

 Editore: Rüffer&Rub Sachverlag Zürich, 2003

Autori vari, redazione a cura di Christa Monkhouse/Renate Wapplinger

Estratto da pag.132 a pag. 139, autore dell’estratto sottotitolato “Mein Eden ist von dieser Welt” di Alice Nauser (degente di Casa Anziani “Beugi” a Zurigo)

   

 

  

Verso una nuova socialità   

 

Libera traduzione e integrazione  personale a cura di Carina Panier-Bracher 

 Ergoterapista della clinica geriatrica  comunale di Bellinzona

 

 

...Atteniamoci alle statistiche (SCRIS, Losanna e Bellinzona).

 

A partire dal secondo ventennio di questo secolo si è stimato come equamente  prevedibile un incremento medio nel solo Ticino  della popolazione ultra ottuagenaria di circa 7260 unità , che sempre in termini statistici, equivarrebbe  ad un allarmante + 36% della popolazione odierna dei nostri anziani. Un dato questo certamente destabilizzante e tale da essere preso in seria considerazione.

 

Si tratta di una “nuova” popolazione di anziani, che per gli effetti in grado di ingenerare e i conseguenti squilibri sociali, può essere rapportabile solo alle grandi migrazioni di massa ed è quindi necessario e prioritario provvedere per tempo nel valutare livelli di assistenza alternativi o suppletivi e confrontarsi con nuove metodologie operative.

 

Se da un lato è prioritario com’è giusto che sia il soddisfacimento dei minimi bisogni morali ed esistenziali nel contesto di un armonico sviluppo sociale, con l’apertura di nuove e più moderne casa-accoglienza o centri diurni;  è altresì prioritaria la ricerca di un soddisfacimento globale ed armonico di tutti i bisogni  nel divenire dei nostri anziani prossimi  venturi, vale a dire della popolazione attuale del Ticino, in definitiva di noi stessi nel post immediato. Cosa questa da non mai scordare.

 

Per fare questo con completezza di metodo e certezza operativa sarà necessario per prima cosa, aprirsi a nuove prospettive, studiare esperienze d’avanguardie pregresse, aprirsi  con occhio analitico a ciò che altrove e nel mondo finitimo dell’oltrefrontiera  è stato posto in essere  e già sperimentato o in via di sperimentazione.

Non che altrove si sia fatto o si faccia di più e di meglio, ma, occorre pur sempre accumulare dati validi, rapportare, valutare, scegliere infine il meglio, laddove il meglio appare evidente e la prassi sperimentata fornisca  indicazioni certe di metodo.

 

Prendiamo ora in considerazione come da statistica sopra accennata, necessità reali ed i  bisogni oggettivi di persone che saranno anziane nei prossimi anni venti di questo nostro secolo e di coloro i quali, ora settantenni, a  breve varcheranno la fatidica soglia della senescenza acclarata.

 

L'autrice e chi  traduce ora, reinterpretando; nella propria quotidianità della prassi lavorativa da ergoterapista di Case Anziani, vive ed osserva con impotente tristezza la talora drammatica  parabola esistenziale di chi si trova nella impossibilità di una seppur minima autonomia ergonomica e, abbandonando la propria collaudata relazionalità sociale, si vede costretto a dipendere  in tutto e per tutto da persone terze,  in ambienti  talora apparentemente ostili.

 

E’ proprio riflettendo sulla dimensione umana della professione terapico-assistenziale e approfondendo la ricerca sulla condizione sociale dell’anziano degente che si ha modo di rintracciare una non certo esaustiva ma di contro stimolante ed intrigante bibliografia specifica.

Su tutto un testo che a pare di chi scrive, appare estremamente significativo in merito: “Die Eden-Alternative” di Dr. William H. Thomas, Geriatra (editore: Kaufmann, 2006).

Il tomo  del geriatra americano Thomas, come la stragrande parte della specifica saggistica è in lingua inglese inglese, è ora tradotto in “Die Eden-Alternative”, in lingua germanica dopo un successo strepitoso negli Stati Uniti ed in tutto il mondo con le sue varie pubblicazioni e le strutture da lui trasformate e fondate.

 

Il Dr. William Thomas, in sintesi, pone la questione della “trinità geriatrica”:

 

- isolamento sociale,

 

- noia (leggasi: abulia, apatia, monotonia), cioè lo svuotamento degli  e dagli stimoli percettivi dell’ambiente di cura,

 

- surplus assistenziale, ovvero una vera e propria castrante invadenza nell’ambito e nella dignità personale da parte della assistenza medico-sociale.

 

Se i due primi punti della triade appaiono ormai per tutti assodati, il punto tre, merita una più attenta  analisi.

Se da un lato è pur vero che una società civilmente evoluta deve saper offrire ogni e qualsivoglia aiuto all’anziano ancorché semi-autonomo, e pur  vero che tale assistenza non deve essere omnicomprensiva e ancor peggio uniformata per tutti indistintamente  su livelli di produttività semi industriali.

L’assistenza deve essere mirata e personalizzata, e ancor più, mai invadente e/o accanita. Spetta all’anziano stabilire di comune accordo con il personale curante i limiti di tale invadenza.

 

E’ compito del personale addetto alle terapie ed alla assistenza incentivare l’anziano verso il recupero di prospettive di minima autonomia ambientale e funzionalità corporea.

Appare poi come fondamentale che il prototipo di casa anziani, debba, ove possibile, cedere il passo nel divenire, a luoghi stabili di permanenza a carattere di somma familiarità domestica.

Esattamente l’opposto di quanto oggi, nel settore assistenziale portiamo come vanto elvetico d’avanguardia.

Siamo infatti in grado, tra i pochi in Europa, di fornire ai nostri anziani una assistenza vigile e cure mediche  continuate nell’arco delle ventiquattro ore, con livelli prestazione e qualità elevatissima.

I nostri centri dispongono tutti di funzionalità e strumentazioni di primo livello e talora d’avanguardia,  nonché di mezzi ausiliari adatti a prolungare l’ autonomia nei trasferimenti, nella deambulazione, nell’incentivazione di autonomie personali quali la (auto)  vestizione, o il sapersi acconciare alla tavola per il sostentamento autonomo.

Il tutto assecondando rigorosamente  i criteri ed i parametri dei bisogni primari elencati nella “piramide” di Maslow .

 

Al bivio delle nostre attuali conoscenze occorre verificare se questo stato delle cose presuppone un pertinente approccio al mondo futuribile dell’assistenza che ci attende.

Detto di ciò che ci caratterizza nella avanguardia organizzativa e tecnologico-assistenziale, e che appare quale giusta gloria e vanto nostrano, va detto che a parere di chi scrive, tutto ciò si è concretizzato nel disvalore di una umanità minima dispersa.

Che valore ha oggi, il sentimento (dai più chiamato: compassione caritatevole) a fronte della fredda necessità di ottemperare a livelli qualitativamente elevati di assistenza. Conta più l’anziano inteso come persona o l’anziano inteso come unità numerico statistico da assistere nei modi e nei termini stabiliti dal criterio generale?

Domande certo non da poco, all’interno delle quale è doveroso aprire il dibattito e per parte nostra lanciare l’ipotesi della riscoperta di un nuovo “Umanesimo” assistenziale e curativo, carico di valori e prospettive trascendenti.

 

Poniamo fine ai “Paradisi celestiali in terra”, alle case di “luminosa degenza”, ai  lagher beati di solitudine e smontaggio della vita, anticamera dell’abbandono, al business dell’assistenza vacanziera.

Costruiamo e progettiamo all’opposto Case, ambienti e socialità cariche di vita vera. In parole povere, costruiamo la cultura in divenire di una: “Senescenza vitalistica”!

 

Una “Senescenza  faber”, carica di “lavori”, impegni, quotidianità ricca di humus vitali e di amori, brulicante di vita e mai estrapolata dal contesto sociale.

 

Nuovo Umanesimo, vitalismo, senescenza fattiva (faber)”, sono valori tutti nostri, in divenire, ed in cui crediamo e per i quali sul campo del lavoro come nel dibattito professionale e culturale ci impegneremo quotidianamente nell’immediato futuro.

 

Restando al contrario a ciò che nel presente propugna il dibattito culturale, occorre ripensare alla teoria del “Nuovo Eden” del già citato Dr, Thomson, nel suo: “Eden-Alternative”.

La teoria, appare pertinente e ben inserita nella cultura centro-nord europea, tutta pregna di un "neo riformismo  gioioso”, e presuppone di colmare ogni sofferenza  dell’anziano, vincolandolo ad un “giardino dell’Eden”  prodromo se non di delizie bibliche, di umanità e socialità profuse.

Il motore del modello teoretico si basa sui seguenti fondamenti che per semplicità e chiarezza chiameremo i:

 

“10 comandamenti laici”:

 

1. Le tre miserie (di cui già si è detto): la solitudine, la troppa assistenza da parte di terzi e la noia sono responsabili per la maggioranza delle sofferenze di persone ricoverate in strutture tradizionali.

 

2. La casa (n.d.a: Casa Anziani, istituzione curativa, ecc.) deve offrire un ambiente, in cui è possibile un contatto quotidiano con animali, piante e bambini. Perché sono proprio quelle le relazioni, che rendono la vita meritevole di essere vissuta.

 

3. La cura, prendersi cura in modo amorevole è il mezzo più adeguato nella lotta contro la solitudine. Le persone anziane hanno bisogno di amicizie e contatti col mondo esterno e l’ambiente naturale (giardini, prati, boschi, acque e animali).

 

4. Gratificazione: La casa deve garantire all’anziano gratificazioni materiali ed il senso di saper fare e saper comunicare. Questo è il rimedio migliore contro la troppa assistenza da parte del personale curante.

 

5. Il personale della casa deve in ogni modo creare alternative creative e variabili d’ogni tipo e forma alla routine della quotidianità istituzionale. Questo è il rimedio migliore contra noia e paranoia o atonia mentale.

 

6. L’anima: ogni attività insensata o semplicemente inutile e costrittiva  corrodono l’anima umana. Per mantenersi in buona salute è indispensabile poter svolgere attività importanti e sensate. In parole povere dare, sempre, senso alla vita dei degenti.

 

7. Medicina: Le cure mediche devono servire solo alla cura della persona. Mai devono dominare la persona.

 

8. Dignità: la struttura rispetta la dignità dei suoi abitanti e rinuncia ad una burocrazia gerarchica. Coinvolge in tutte le decisioni i suoi abitanti e/o i loro famigliari.

 

9. Accoglienza o processo mai finito: creare una casa accogliente per la terza età è un processo infinito.

 

10. Dirigenza: occorrono dirigenti di Case Anziani che sappiano guidare le loro  strutture con ponderatezza,  saggezza biblica e che sappiano essere in ogni momento autentiche “sorgenti di vita” nella lotta contro la trinità delle miserie anziane cui si fa continuamente cenno.

 

Operativamente il testo del Thomas propugna la "creazione di piccole case” composte da un gruppo limitato ed omogeneo di anziani disposti a condividere un appartamento appositamente strutturato e finalizzato all’accoglienza senile nella semi-auto gestione.

 

a) Una zona centrale attrezzata a cucina/soggiorno/convivialità.

b) Camere (perlopiù singole) accorpate ad anello attorno alla zona convivialità.

c) L’interezza dell’alloggio deve essere armoniosamente inserita a contatto diretto della natura ed ogni ospite deve poter usufruire nel proprio ambito della luce diretta del sole e dell’ambiente naturale circostante.

d) Assenza di un locale infermeria, poiché la vita di comunità deve scorrere nell’armonia della familiarità domestica.

 

Un simile ambiente domestico, definito dal Thomas, “serenità ambientale”, deve essere supportato da un team esterno e interdisciplinare addetto alla cura di un pool di micro case d’accoglienza. Tale team sarà prevedibilmente composto nel suo aspetto ottimale almeno da:

 

- Un medico geriatra,

- Un infermiere specialistico,

- Un fisioterapista,

- Un ergoterapista,

- Un dietologo,

- Un logopedista o musico terapista

 

Ciascuno dei componenti il gruppo d’azione anziani opera sia singolarmente sia con gli altri colleghi del team e a turno frequenta secondo necessità dei singoli ospiti, le micro case assegnate.

A coordinamento del tutto si erge la mitica e un po’ magica figura  dello “Shahbaz” (n.d.a. : derivazione di un personaggio di una leggenda medio-orientale).

Nello specifico lo Shahbaz di Case Anziani, è colui il quale amorevolmente si prende carico e supplisce alle inevitabili necessità d’ogni genere insorgenti nella micro-comunità conducendo con equilibrio l’anziano o gli anziani a lui affidati, alle soglie della serenità imperitura.

Lo Shahbaz è inoltre responsabile di ogni risorsa vitale dei propri “tutelati” rendendo loro una vita sempre ottimale pur paragonata al loro stato ed al loro grado di vitalità.

Non esistendo al momento nessun corso formativo da “Shahbaz”, occorre notare che dette caratteristiche opertative sono parimenti estendibili a quelli formative di un ottimo ergoterapista. Su tutto comunque, è di fondamentale importanza che lo Shahbaz sappia essere positivo, propositivo  e sappia  trasmettere energia vitale  a tutto il gruppo casa.

Alla completezza o a lato dello Shabbaz, necessitano in qualità di “arcangeli”, uno o più infermieri che siano in grado di avere nei confronti degli anziani assistiti, un atteggiamento olistico (n.d.a.: dal  greco, όλος, cioè “la totalità”, omnicomprensivo).

 

In conclusione, ancorché non  si fosse compreso, la dottrina propugnata dal Thomas, è eminentemente dottrina umana eallo stesso tempo religiosa, comunque prioritariamente “morale” laddove ai valori della civiltà dei primato e della produttività, antepone la riscoperta dell’umanità minima e della spiritualità insita in ogni e qualsivoglia dottrina, in particolar modo quella di matrice cattolica ed il suo equivalente “riformato”.

 

- L’anziano deve in primo luogo “Essere” e non esistere (n.d.a.: sopravvivere),

 

  - Essere in pace con sé stesso (n.d,a.: autocoscienza, remissione delle colpe, auto accettazione),

 

- Essere appacificato ed in armonia col mondo e la famiglia,

 

- Mettere a frutto l’esperienzialità della vita, essere saggio, equilibrato,

 

- Concorrere coi ricordi a tramandare la cultura acquisita,

 

- Lasciare traccia terrena del proprio passaggio esistenziale.

 

-  (...)

 

 

Ebbene, chi scrive ora, traducendo dal tedesco; tempo addietro,  era impegnata  nella lettura non certo agevole de: l’uomo come fine di A. Moravia, una frase su tutte mi colpì: “il mattone vale il teschio, purchè si faccia il muro”.  Stava scritta sulle porte del potere, delle istituzioni e dei castelli medioevali tedeschi fatti di malta impastata col sangue dei vinti.

Il fine dichiarato era il muro, ovvero l’ordine, l’organizzazione, la produttività, l’economia, il senso forte dello stato.

Il fine oggi da riscoprire è il valore non del “castello del potere”, ma di quel singolo teschio confuso, impastato inglobato agli altri.

in definitiva occorre riscoprire il valore e l’essenza dell’uomo.

Anche del singolo.

 

Carina Panier